Questo libro esplora gli stereotipi e i pregiudizi che danno forma al nostro immaginario sulle cosiddette Mutilazioni/Modificazioni Genitali Femminili (MGF). Prendere coscienza dei nostri abiti mentali e delle nostre categorie cognitive come particolari ci consente di mettere in discussione le nostre certezze, rendendoci più disponibili ad ascoltare e a comprendere le ragioni degli altri. Esperienze pregresse sul tema delle MGF hanno dimostrato che tra la nostra visione del fenomeno e la percezione delle donne direttamente coinvolte c'è spesso uno iato, in grado di compromettere una possibile relazione attenta alle altrui sensibilità. A tal proposito questa ricerca ha voluto esplorare la natura e la causa di questa frattura, affinché all'incomunicabilità si sostituisca un dialogo più aperto alla conoscenza e alla comprensione reciproca. Per questo si è cercato di ricostruire una sorta di genealogia del nostro immaginario sulle MGF, che di fatto permea i nostri giudizi con derive spesso eurocentriche e razziste. Si è voluto riflettere su alcuni concetti-chiave che seppur con modalità differenti coinvolgono tutte le donne anche all'interno dei nostri riferimenti socio-culturali, quali l'integrità del corpo, l'autodeterminazione, la salute, il controllo della sessualità e del piacere femminile, subordinati a quello maschile.
Le MGF, e soprattutto le ragioni che le sottendono, ci riguardano direttamente come donne più di quanto immaginiamo. Da donne occidentali ci illudiamo di essere libere ed emancipate, arrogandoci il diritto di relazionarci a donne di altre culture come sorelle maggiori, dimenticando di appartenere, invece, ad un mondo che come gli altri controlla i nostri corpi e ci discrimina come donne.



indice del volume
Introduzione
  • Note sulla scelta metodologica
  • Preambolo

  • I
      Classificazioni del fenomeno
      Storia di pratiche di modificazione genitale
  • II
      Modificazioni genitali femminili, ovvero un sentiero di decostruzione epistemologica
      La legge
  • III
      MGF di casa nostra e le contraddizioni del caso Transgender o le Modificazioni genitali di Stato
  • IV
      Rappresentazioni delle Altre tra passato e modernità

  • Considerazioni finali

  • Bibliografia
  • Indice dei nomi

Note sulla scelta metodologica

Come già affermato questa ricerca intende analizzare la natura e le categorie cognitive ed interpretative che lo sguardo "occidentale" mette in gioco nel discutere e valutare una pratica spinosa (resa tale non senza la nostra complicità), come quella delle MGF. A mio avviso, infatti, le MGF rappresentano il paradigma per eccellenza della debolezza dell'approccio epistemologico occidentale, troppo spesso fazioso, etnocentrico e mistificatore. In una parola, come si vedrà, razzista.
Vista la tematica in esame, appare indubbiamente urgente fare chiarezza su quali siano le premesse teoriche su cui si adagia il mio sguardo parlando di cultura. Da sempre, infatti, l'antropologia si interroga su una possibile definizione del concetto di cultura, capace di comprendere ogni sua declinazione e manifestazione, e quindi di restituire l'enorme complessità del termine, iperonimo per eccellenza.
La cultura (o culture), nelle sue molteplici sfumature e declinazioni, informa ogni ambito del nostro agire. Anche gli aspetti considerati naturali o istintivi sono espressi secondo modi, spazi e tempi culturalmente orientati. Questo è vero per Noi come per gli Altri, poiché l'essere umano, in quanto animale sociale, si muove in contesti intrisi di rituali, conformismi, consuetudini, regole scritte e non scritte, convenzioni e prassi che più o meno consapevolmente ne indirizzano l'agire quotidiano e la percezione di se stesso.
Allo stesso tempo però il libero arbitrio e l'esercizio della propria individualità possono distanziarsi dalla cultura (o culture) dominante, in quanto, per sua natura, questa è sì pervasiva ma non totalizzante. Tale aspetto non sempre è evidente quando si osservano gli "Altri" che, con uno sguardo iperculturalizzante, vengono considerati ineluttabilmente ostaggio delle proprie culture reali o presunte, laddove al contrario, quando si guarda all'interno del proprio contesto culturale di riferimento, tutto appare normale o naturale, quindi assoluto e universale, e non espressione particolare di una o più culture tra le tante. Allo stesso tempo, però, la cultura (o le culture), seppur nella sua estesa pervasività, è spesso difficilmente circoscrivibile, avendo confini incerti e indefiniti, e una natura ibrida e cangiante, poiché sempre frutto di influenze, commistioni e contaminazioni continue di culture altre, che per definizione non conoscono frontiere e confini, tutte caratterizzate dal fatto di non essere mai state pure, malgrado ideologie e semplificazioni intellettuali talvolta vogliano far credere il contrario.
Per cultura dunque non intendo qui un concetto reificato e ipostatizzato, di cui si nutrirebbero gli ambigui e infondati concetti di matrice occidentale quali l' "etnia" e la "razza", bensì costruzioni narrative formate da un arcipelago infinito di combinazioni, pensieri e azioni, in grado di definire identità polisemiche, dinamiche, eterogenee e mutevoli nello spazio e nel tempo, per questo mai definibili una volta per tutte; come un fluido continuo, privo di barriere predefinite, capace di nutrirsi e di rielaborare contaminazioni di ogni genere e sorta.
Ho scelto di non utilizzare il termine "mutilazioni" per sottrarmi al giudizio di valore fortemente negativo che questo esprime, consapevole del potere performativo del linguaggio: le definizioni permeano e informano la realtà, a prescindere dalla loro reale corrispondenza al vero.
L'espressione che comunemente identifica le pratiche cosiddette mutilatorie non considera l'aspetto culturale, che invece per la comprensione di tali fenomeni ricopre un ruolo determinante. Il termine mutilazione, infatti, racchiude implicitamente una connotazione negativa, poiché fissa l'attenzione sull'elemento prettamente fisico del deterioramento di un organo, subordinando il fenomeno culturale a mero epifenomeno. Questa posizione è frutto di una volontaria opera di riduzione della complessità, da parte di una cultura etnocentrica interessata più a tessere anatemi e condanne verso tutto ciò che non gli appartiene piuttosto che adoperarsi per una migliore comprensione di altri modi vivendi, non sempre riducibili alle proprie categorie politiche e morali.
Come ricorda l'antropologa Michela Fusaschi l'utilizzo del termine "mutilazione" suggerisce una condanna a priori senza possibilità di appello, proprio ai danni di coloro che vengono identificate come vittime di tali pratiche, condannandole in questo modo ad una sorta di doppia privazione. Se il punto di vista delle donne direttamente coinvolte rappresenta una testimonianza privilegiata per la conoscenza del fenomeno, l'impiego del termine "mutilazione", in cui non vi è alcun riconoscimento delle attrici sociali, impedisce di fatto lo scambio relazionale, compromettendo la comprensione reciproca. Per questi motivi l'impiego del termine "modificazione" in luogo di "mutilazione" mi sembra essere più rispettoso del punto di vista emico, ovvero di chi è immediatamente coinvolta, e più attento alle implicazioni culturali che connotano tali pratiche, rimandando la formulazione del giudizio sulle stesse ad un momento almeno successivo alla loro comprensione. (...)

l'autrice
Federica Ruggiero

Nata a Roma nel 1977, dopo essersi laureata in sociologia si è specializzata in discipline antropologiche, gender studies e studi post-coloniali, con particolare interesse per le dinamiche di dominio, i processi identitari, la costruzione dell'Alterità e la gènesi degli stereotipi e dei pregiudizi conseguenti.
Lavora da diversi anni su temi legati alla violenza di genere, alla migrazione e all'intercultura in qualità di ricercatrice, progettista, formatrice e consulente. Conduce dal 2005 attività di ricerca anche in Rwanda su questioni identitarie e sulla condizione delle donne durante e dopo il genocidio del 1994. Ha pubblicato diversi articoli e saggi critici sulle MGF, il genocidio rwandese, lo sfruttamento lavorativo dei migranti e il falso umanitarismo dell'Occidente.
Collabora con la cooperativa sociale BeFREE, di cui è socia, su progetti di contrasto alla violenza contro le donne, allo sfruttamento sessuale, all'omofobia, al sessismo e al razzismo in ogni sua declinazione.

immagine di copertina
Immagine di copertina di Banksy (Bristol, 1974 o 1975). È uno dei maggiori esponenti della street art. Si sa di lui che è cresciuto a Bristol, ma la sua vera identità rimane nascosta. Le sue opere sono per lo più a sfondo politico e satirico, finalizzate alla diffusione di una controcultura antagonista alla morale vigente, nonché all'ordine economico e sociale costituito. Molte le sue opere di guerrilla art a sfondo anti-capitalista e pacifista. Nell'agosto del 2005 nei territori della Cisgiordania ha realizzato dei murales a sfondo politico sulla barriera costruita dallo Stato d'Israele per ridurre ed isolare i Territori Palestinesi.