È storicamente provabile e provato che i popoli sono inclini a dar poco peso agli effetti delle guerre quando non li investano direttamente. È altrettanto vero però che negli individui il «dovere morale» può sempre fare affidamento «sulla propria fonte originaria: la fondamentale responsabilità umana verso l'altro», sicché i governi sono periodicamente costretti a correre ai ripari. Rielaborata alla bisogna, da quasi un secolo l'inventiva propagandistica della Grande Guerra impartisce alle genti la lezione fondamentale: l'altro non è una vittima, e men che meno un fratello, è il nemico. Stabilito l'assunto, restano i corollari. È risaputo che per sradicare nelle persone ogni eventuale afflato umanitario occorre raffigurare l'altro alla stregua di un animale, di una cosa, o almeno di un subumano. In tempo di guerra, o di pace che prepara la guerra, a questo compito si dedicano assiduamente non solo gli Stati maggiori degli eserciti, i preposti uffici, la stampa, la scuola e ogni periferica emanazione dello Stato, ma anche, spontanei, molti dei cervelli che abitano creativamente la società.
Chez nous, a partire dalla prima guerra del Golfo, la Sinistra si è accreditata nell'Altrove che conta rigurgitando senza riserve la turpe eredità dell'«interventismo democratico» ed è arrivata a scippare alla Destra la gestione in proprio dei conflitti, innestando sul DNA di un feroce decisionismo di scuola sarmatica non meno feroci tartufismi nostrani. Di lotta o di governo, riformista o di alternativa, finalmente protagonista ha riesumato l'idea di Patria, consacrato i militari e moltiplicato i teatri bellici con la reiterata complicità dei suoi estimatori, a beneficio massimo dei mercati, che su di essa hanno a più riprese oculatamente puntato, ma distribuendo al contempo anche apprezzabili dividendi istituzionali e confessionali. Guerra continua, dunque, come da promesse elettorali: ai migranti, al dissenso, ai salari, al pensiero, alla cultura, allo studio, ai poveri, alle pensioni, ai malati, guerra etica e umanitaria, giusta e necessaria, guerreggiata o simulata, guerra agli scrupoli, guerra al tabù della guerra, guerra dell'ONU, della NATO, dell'Europa, del fosforo bianco e dell'uranio impoverito, guerra alla pace, guerra per l'Ordine, guerra locale, guerra globale. Guerre democratiche, guerre di Sinistra. Senza se e senza ma.

Introduzione

Gli stessi rappresentanti dei governi di tutto il mondo che organizzano conferenze di pace e parlano della «Lega delle Nazioni» e di «Pace internazionale», contemporaneamente si preparano al riarmo mondiale in vista di un nuovo massacro.
Ernst Friedrich, Guerra alla guerra, Berlino 1924

L'aurora dalle dita rosa che aprì il secolo XX carica di doni e promesse mutò presto colore e il giorno tinto di rosso preparò la nera notte di Valpurga. «Se ci si tappa le orecchie, non si sentono più i gemiti», scriveva Karl Kraus, che aveva visto sorgere dalle ceneri d'Europa il nuovo verbo universale: «il paradiso umano comincia subito dopo l'inferno del prossimo». Che lezione, e che maestri! Durava dal '14, ma nell'agosto del '45 il Bene finalmente esplose. Si guardarono allora i potenti della terra, sgomenti per ciò che avevano fatto. Durò poco, ma bastò per dare vita a nuovi statuti e convenzioni e carte e istituzioni. Qui si bandiva la guerra, là si disegnavano colombe, i popoli si giuravano fraterni, alle religioni non si credeva più e dopo l'Untergangster dell'Occidente, come lo chiamava il gran viennese, ebreo di Boemia, la vergogna impediva l'oscena ricerca di comuni radici. Certo, la bomba incombeva, ma per massacrare in pace non si potevano più evocare i sacri valori. S'imponeva discrezione: un po' di coreani e un po' di indocinesi, un po' di algerini e un po' di tibetani, controrivoluzionari di tutto il mondo uniti e aborigeni incautamente sopravvissuti, indonesiani d'ogni isola e africani d'ogni dove, sauditi e yemeniti, israeliani ed egiziani, giordani e siriani, curdi e palestinesi, caucasici e latinoamericani, indiani e pakistani, iracheni e iraniani, afgani e cambogiani, baschi e irlandesi, tedeschi e ungheresi e dissenzienti ovunque fossero, che tanto, dice il poeta, sono sempre odiati. Ma fu una carneficina!, obiettano gli incontentabili, indifferenti al tantra dei dignitari dell'Eterno Presente: nella foto non ci sono mai solo ombre. Infatti a illuminare il futuro una fiaccola si accese: il Tabù della guerra. Un tabù è un tabù e quando viene violato la coscienza non ammette scuse: non c'era più patriottismo che tenesse, come fu chiaro al Paese di Dio, quando dai campus agli slums orde di superstiziosi sfasciarono tutto pur di non tenersi il Vietnam. E ad alimentare il Tabù, per quarant'anni ubicumque musica e poesia, libri e teatro, cinema e letteratura, teologie libertarie e Corani bruciati, Maggio per strada e fabbriche occupate, scioperi e amore libero ed ogni altra inaudita liturgia di quell'inaudito sacro. Ma era troppo. Dopo dieci anni di caccia all'eretico, i potenti della terra si dettero una nuova occhiata e alla prima occasione distrussero l'incongruo idolo. Il muro era crollato e un Nuovo Ordine attendeva impaziente: un paio di mesi di propaganda televisiva e fu di nuovo Guerra Giusta e pure Umanitaria. La vecchia cassetta degli attrezzi, bestia bionda in parte a parte, fu dissepolta e risultò utilissima. Chez nous, un'insigne gorgone democratica si affrettò a divorare per l'ennesima volta il suo passato: benedisse i bombardamenti su Bagdad e impietrì i discepoli ammonendoli che Kant non serviva più, che il diritto discendeva dalla forza e che da quel momento al prossimo bisognava volergli bene hegelianamente. E la Moltitudine, come si regolò la Moltitudine? Be', come quasi sempre, poiché – per dirla ancora con Kraus – «il tipo meschino che nega la sofferenza degli altri per assicurarsi la propria incolumità appartiene a questa regione e a questa nostra epoca».
Ora che tutto si è compiuto e il presente può essere storicamente contemplato, non per una vana tentazione di cambiare le cose ci si separa da questa macabra postmodernità che gli scribi omertosi già declinano al passato, né per alimentare superstiziose attese di un futuro improbabile, né per catarismo, a santificare una purezza che non si è mai data. Semplicemente per decenza.
Una onesta ricognizione della Sinistra belligerante di questi ultimi anni – a datare, diciamo, dalla derubricazione del fattore K a ruota di scorta della Western Civilization – dovrebbe innanzitutto fornire un'idea chiara e distinta dell'oggetto di studio. Ebbene, pur dichiarando con fermezza l'onestà delle nostre intenzioni, dobbiamo altresì ammettere di non poter definire rigorosamente che cosa la Sinistra sia. Sulla sua esistenza, d'altra parte, non è lecito alcun dubbio, poiché periodicamente molti milioni di osservatori dichiarano di vederla, così come molti altri milioni un tempo dichiaravano periodicamente di vedere gli UFO; ma se tutti vedano la stessa cosa o se ciascuno veda davvero qualcosa non è possibile dire. Proprio come con gli UFO, o, in altre declinazioni della democrazia, con le statue piangenti sicché non praevalebunt. Né può essere ritenuto attendibile il seriale, sinistro coming out di partiti estinti o di annunziata o prevedibilmente prossima estinzione, le cui dichiarazioni identitarie appaiono largamente pretestuose, complementari ad un nomadismo prudenziale e ad un doloso mimetismo. Infine una ricerca ontologica per via induttiva, a partire cioè dagli orientamenti politici dichiarati e praticati – monetari, finanziari, sociali, militari –, è subito scoraggiata dalla constatazione degli analoghi orientamenti della Destra, valendo in entrambi i casi l'analoga ispirazione di un analogo Altrove.
Tuttavia qui forse si apre la strada ad una risposta plausibile e sia pure solo empirica al nostro interrogativo ontologico. L'esistenza della Sinistra trova infatti – nel presente, così come sempre in passato e presumibilmente sino ad estinzione dello Stato – una indiscutibile, ostensiva, reciproca dimostrazione nell'esistenza della Destra. E, per il fatto stesso così certificato del rispettivo sussistere, Destra e Sinistra diventano legittimamente titolari di funzioni differenziate e individuanti di fronte al popolo sovrano. Si intende che tali funzioni non possono essere se non applicative, subalterne di ciò che, come si è detto, ineludibilmente e sovranamente è scritto e prescritto Altrove. Tuttavia, come sanno bene i grandi interpreti dell'altrui pensiero musicale o teatrale, l'applicazione apre grandi spazi alla diversità degli stili, alle improvvisazioni dei virtuosi, alla dismisura degli istrioni. Gran peso ha allora, nella rappresentazione di un copione, la tradizione artistica locale, che nel nostro caso in effetti, per eredità storica dei fescennini e della Commedia dell'Arte, vieta parimenti alla Destra e alla Sinistra la tragicità della tragedia, imponendo comunque e ovunque il paradigma della farsa macabra.
Nella lettura dunque di un testo obbligato e in un contesto linguistico non meno obbligato, si tratta di sapere se la Sinistra si accrediti per una recitazione a qualche titolo peculiare. A noi sembra che questo appunto sia il caso, che la Sinistra esibisca volentieri uno speciale talento interpretativo, capace di innestare sul DNA di un feroce decisionismo di scuola sarmatica non meno feroci tartufismi nostrani. Si spiega così tra l'altro la facile confluenza nella compagnia di giro della Sinistra di volenterosi teatranti di estrazione confessionale.
Si capisce che con tale vocazione teatrale alla Sinistra non dovessero mancare le scritture, una volta scaduti i contratti con gli impresari della Moscovia. All'attuale ribalta globale infatti non servono solo protagonisti; si richiedono anche comprimari, servi di scena e qualcuno che faccia ridere. Varie rappresentazioni sono inoltre gradite nel cortile di casa, dove ci si consentono truculenze vietate altrove dall'indocile reattività del pubblico. Insomma al teatro militante della Sinistra non sono mancate occasioni per esibirsi. Di tale attività sulle scene esotiche o domestiche proponiamo un inventario, non completo, ma abbastanza indicativo, diviso in tre sezioni. Nella prima, «Teatri di guerra», si ripropongono articoli pubblicati nel trimestrale Hortus Musicus tra la primavera del 2001 e la fine del 2005, di illustrazione e commento dei conflitti e dei teatri della guerra globale frequentati dalla Sinistra. In Due o tre cose che so di lei…, alla vigilia delle elezioni politiche del 2001 – dopo una sequenza di ministeri di centrosinistra che aveva visto la guerra del governo Prodi contro i profughi albanesi, quella del governo D'Alema contro la popolazione serba e quella del governo Amato contro i napoletani – si dava conto degli ansiosi interrogativi di una Sinistra presaga dell'imminente sconfitta, incapace peraltro, o almeno riluttante, a darsene ragione. L'articolo suggeriva una congrua quantità di buoni, sostanziali motivi, insistendo in particolare sulle atrocità militari imputabili alla Sinistra: appunto l'affondamento della nave albanese Katër i Radës nel Canale d'Otranto e i bombardamenti di Belgrado. Oggi tuttavia dobbiamo riconoscere che anche il nostro articolo era in errore, attribuendo all'elettorato la capacità di commuoversi per simili eventi. Del davanzale di casa registra infatti il clima militarista che senza apprezzabili obiezioni popolari contemporaneamente si è instaurato nel Paese per impulso della suprema autorità repubblicana. Democrazia domiciliare è un tributo alla vittoria della Sinistra nella battaglia di Napoli contro i no-global, con eroismi polizieschi abbastanza efferati in piazza e nelle caserme da potersi considerare preludio e prova generale della grande e cruenta vittoria di lì a poco riportata a Genova dalla Destra, con uomini e apparati ereditati dai governi di Sinistra. Sul fronte della Giustizia, che notoriamente impegna le forze migliori della Sinistra, il Cianuro dei curdi e il codice di Hammurabi e L'Histoire probablement registrano le due diverse strategie con le quali la magistratura declina il rigore della Legge, quando debba combattere le insidie ipotetiche di un nemico occulto e quando invece l'Ordine pubblico sia messo da gran tempo in discussione da un nemico ben noto e anzi familiare. «La Repubblica» dopo Platone: peripateticità del quotidiano dà atto agli opinionisti della grande stampa di Sinistra del loro abituale, esperto, voluttuoso contributo, come antiche Aspasie a fianco di antichi Pericli, alle bassezze ed efferatezze della Politica. La pièce comica Sulla bontà e utilità della tortura – dialogo tra un illustre giurista statunitense, storico campione dei diritti civili, e un notorio garantista italiano – illustra un tema etico-politico sempre up-to-date, sul quale la duplice ascendenza ideologica della Sinistra ha dato il meglio di sé con simpatetici silenzi, storiche omissioni e pratiche inventive a tutela dell'Ordine locale e universale. Non poteva mancare in questa rassegna, e «City Light» alla bolognese provvede in proposito, l'omaggio agli amministratori locali che dedicano tutte le forze della loro intelligenza, poche o tante che siano, alla guerra quotidiana contro l'invasore, questo nemico subdolo, sfuggente, protervamente minaccioso ai nostri Privilegi e alla nostra Quiete che è il Migrante. Terrorismi conclude la prima sezione dell'inventario, spostando l'osservazione dal microcosmo patriottico della caccia all'Indesiderato alle efferatezze della guerra globale di oggi e di ieri, al terrorismo degli Stati, ai bombardamenti etici, al Progresso e alla Democrazia che programmaticamente abbandonano inerme alle offese mortali del Capitale e della Natura la parte di umanità che non allega ragioni sufficienti per vivere.
Nessuna guerra, e tantomeno la guerra globale, può prescindere dalla propaganda, dalla dovizia e varietà di spezie che si richiedono per rendere commestibile la bassa macelleria dell'onnipotenza militare. Nel secolo XX e in questi inizi del successivo l'innata inventiva dei politici e l'arguzia più studiata degli intellettuali hanno accumulato nella persuasione delle masse esperienze che sarebbe disdicevole andassero perdute. Ci permettiamo pertanto di suggerire l'opportunità di un lessico che dia ordinatamente conto di una tale disciplina, chiarendone in dettaglio occasioni, modalità e benemerenze. A questa eventuale, meritoria opera offriamo i contributi della seconda sezione, «Della propaganda in tempo di guerra», già pubblicati on line nella rivista Carmilla tra il novembre 2006 e il gennaio 2007.
Dopo una visita, in Del primato morale e civile degli italiani, al luogo d'origine collettivo dell'intellettualità organica alla Sinistra democratica e antifascista, o almeno della sua più larga e autorevole parte, la terza, conclusiva sezione, «Maschere», evoca alcuni noti personaggi, i quali nella tragicommedia politica di questi anni hanno recitato monologhi assai apprezzati, dagli autolesionistici cedimenti involutivi del penultimo Gaber, drammaticamente emendati nel finale, al farneticante perbenismo musicale dell'illustre maestro Lorin Maazel, dagli anatemi elettorali di Umberto Eco, predicatorio come nei romanzi esternati dal suo computer, ai responsi misterici del senatore Giovanni Pellegrino, esperto di stragi, dalle strane idee comparative di Paolo Flores d'Arcais sulla giustizia di classe e su quella feudale, alle impudiche amenità professorali di Claudio Magris sulla mattanza genovese: quasi tutti i personaggi ricordati in questi articoli, già pubblicati in Hortus Musicus tra la primavera 2001 e l'estate 2003, hanno poi continuato nelle loro esibizioni in maschera, sostanzialmente mai innovando i loro lazzi, come i lettori hanno potuto facilmente constatare consultando le cronache. Questo vale soprattutto per L'Uomo che ride, il quale è tornato in pista con ripetitive pantomime e risaputi giochi di prestigio. Tuttavia da qualche tempo non ride più.
Infine dobbiamo riferire dello strano caso, consueto in altri tempi, oggi assai raro, del casuale ritrovamento di un misterioso tractatus adespoto, frammentario e ovviamente inedito, dall'arcano titolo De oclocratia sive de multitudine, emerso dagli scavi attualmente in corso tra le macerie di una civiltà estinta alcuni decenni or sono. Dell'autore non abbiamo notizie e nemmeno l'opera fornisce indizi della sua identità. Poiché i titoli del libro e dei capitoli sono in latino e il testo in volgare, secondo un uso di dubbia ortodossia e infatti praticato anche dal diabolico Niccolò, si potrebbero attribuire frequentazioni demoniache pure all'anonimo. O forse no, giacché in tal caso l'opera non sarebbe rimasta inedita. Comunque non ci pare abusivo darne assaggio al lettore per quelle parti che più si avvicinano al tema di questa sezione, il proemium De monstruis e il capitolo De cive, rispettivamente evocanti Toni Negri e Noam Chomsky, venerati Maestri di molte generazioni, grati alla moltitudine e finalmente, in senectute, anche all'oclocrazia.


indice del volume
Introduzione
Teatri di guerra
  • Due o tre cose che so di lei...
  • Del davanzale di casa
  • Democrazia domiciliare
  • Il cianuro dei curdi e il codice di Hammurabi
  • L'Histoire, probablement
  • La Repubblica dopo Platone: peripateticità del quotidiano
  • Sulla bontà e utilità della tortura
  • City Lights alla bolognese
  • Terrorismi
Della propaganda in tempo di guerra
  • Difesa, ministro della.
    Il professor Parisi e la via militare alla democrazia
  • Mito fondativo
  • Eccezione, regola
  • Patria, amor di 
    (cfr. anche Nazionalismo, Sciovinismo)
  • Vivacità
  • Identità
  • Contabilità
  • Vittime
Maschere
  • Del primato morale e civile degli italiani
  • Gaber, l'Obeso e la generazione dei gabbiani ipotetici
  • Riti, stragi e fantasia
  • Tertium non datur?
  • L'uomo che ride
  • Il girotondo dei valvassini
  • Lorin Maazel, o della leggerezza del parlar di musica
  • De oclocratia sive de multitudine. Tractatus anthropologicus-politicus. Fragmenta
Indice dei nomi


gli autori
Gaspare De Caro nato a Roma nel 1930, ha pubblicato Introduzione a La Rivoluzione liberale di Piero Gobetti, Einaudi, Torino 1964; Istituzione del principe cristiano. Avvertimenti e istruzioni di Carlo V al figlio Filippo, Zanichelli, Bologna 1969; Salvemini, UTET, Torino 1970; Sulla genesi dell'Economia pura. Questione sociale e rivoluzione scientifica in Léon Walras, in L. Walras, Introduzione alla Questione sociale, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1980; Léon Walras dalla teoria monetaria alla Teoria generale della produzione di merci, in L. Walras, L'economia monetaria, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1985; Euridice. Momenti dell'Umanesimo civile fiorentino, Ut Orpheus, Bologna 2006; L'ascensore al Pincio, Quodlibet, Macerata 2006 e, sempre per i tipi Quodlibet 2008, Residuati bellici; insieme a Roberto De Caro Storia senza memoria, Colibrì edizioni, 2007.

Roberto De Caro nato a Roma nel 1964, ha diretto e inciso, nel 1991, per l'etichetta ARTS di Monaco di Baviera L'Euridice di Jacopo Peri e Ottavio Rinuccini. Dirige Ad Parnassum. A Journal of Eighteenth- and Nineteenth-Century Instrumental Music. Dal 2000 al 2005 ha diretto Hortus Musicus, trimestrale indipendente di cultura e politica. Ha pubblicato insieme a Gaspare De Caro Storia senza memoria, Colibrì edizioni, 2007.