"Bergamo 1967-1980" fin dal titolo, in questo testo voluminoso e denso di dettagli, si circoscrive l'argomento della ricerca all'interno di un ambito spaziale e temporale ben determinato. La scelta, suggerita all'autore in primo luogo da esigenze di carattere personale e anagrafico, si traduce inevitabilmente in una premessa di ordine metodologico che l'assetto complessivo dell'opera sembra imporre: il tentativo di restituire alla memoria collettiva una congerie di fatti e di informazioni fitti e disordinati in un ordine documentato – quello cronologico e geografico, se non addirittura topografico. Dall'insaziabile accumulo e dalla paziente concatenazione di eventi piccoli e a volte apparentemente minori, fondata sulla consultazione attenta e puntuale di un materiale d'archivio che spazia dalle emeroteche locali ai volantini di movimento (di cui si fa un uso forse senza precedenti), scaturisce un variopinto quadro della Bergamasca, che diventa resoconto e cronaca di una vicenda che ancora ci appartiene.
È una ricerca che potrebbe porsi a esempio per altre zone del Paese, segnalando la presenza di un filone aurifero della memoria che consenta di evitare il destino di Sisifo: quello di trascinare fino al culmine della salita il peso della propria storia per vederlo poi, ancora una volta, rotolare in basso lungo la china dell'oblio. E dover di nuovo cominciare da capo.
È una ricerca che penetra dal basso nel mondo della fabbrica, nella scuola, negli ospedali, che si occupa del problema dei trasporti, della casa, del caro vita, ma anche della genesi e dello sviluppo dei tanti "movimenti". In filigrana vi si legge la storia delle organizzazioni, di gruppi, gruppetti, collettivi, comitati, consigli … e infine quella della repressione, con il tragico esito del carcere e, a volte, dell'autodistruzione. Coloro che hanno vissuto quegli anni attraverso la pratica quotidiana della lotta hanno potuto toccare con mano la possibilità di vivere presentemente in un modo diverso. Queste pagine, nonostante il volontario distacco dello stile cronachistico, restituiscono in tutta la loro freschezza quella possibilità e quella speranza.

Introduzione dell'autore
L'idea di questa ricerca è nata da una profonda esperienza personale; ho sperimentato dapprima il trasporto rivoluzionario di quegli anni, le sue utopie, i grandi entusiasmi, le amicizie che sembrava dovessero essere eterne, i legami di gruppo idealmente indissolubili, con teorizzazioni continue e tendenti alla costruzione di un mondo in cui tutti avrebbero partecipato in egual misura alla proprietà dei mezzi di produzione, teorizzazioni che andavano oltre e alludevano a un mondo dove la socializzazione non fosse solo economica e politica, ma totale, capace quindi di favorire l'espressione delle proprie potenzialità, dei propri lati positivi e creativi, senza secondi fini se non il raggiungimento della felicità di ciascuno che per forza di cose doveva coincidere con quella di tutti gli altri: la chiamavamo "comunismo".
Per arrivare a tutto questo rivendicavamo il diritto alla "ricchezza" e all'uguaglianza nel godimento massimo dei beni. Per distruggere il quotidiano, per vincere l'alienazione, bisognava distruggere ciò che ci impediva di vivere totalmente. Uno degli slogan che mi ha sempre affascinato e che indicava (e indica ancora) quello che esattamente volevo era: "riprendiamoci la vita".
Nel 1980 e nell'anno seguente, a Bergamo come nel resto d'Italia, si è verificata un'ondata di arresti, perquisizioni, interrogatori, latitanze più o meno desiderate, ma soprattutto tante "spiate" o "chiamate di correo" o "infamità" che dir si voglia, tradimenti belli e buoni, crolli inaspettati.
A fronte di quella esperienza è scattata una chiusura nella maggior parte dei protagonisti di quel "movimento", ma i problemi non si possono rimuovere, la nostra storia non è stata un documentario di regime, una rappresentazione che adesso ci sembra agita da qualcun altro; ci siamo ridotti, il più delle volte, a dare un giudizio negativo su tutta l'esperienza, personalizzando tutto un percorso, che pur nella sua parzialità e nella sua scarsa progettualità pratica, aveva qualità e caratteristiche ben diverse da quelle che sono emerse dai tanti processi, dai vari "pentiti", dai giornalisti locali e nazionali, da una "società civile" che tendeva a emarginarci già allora. È così che mi sono ritrovato, dopo una decina di anni in cui non "non ci pensavo più", ad avere il desiderio di fare chiarezza su quel periodo, soprattutto e prima di tutto a me stesso.
Mi dicevo: "ma se credo ancora ad una società che risponda alle mie necessità, ai miei bisogni, ai miei desideri, che si faccia usare e che non usi; se queste cose le pensavo anche allora, vuol dire che un legame ci deve essere; forse il mondo è cambiato, è vero, ma le persone, le coscienze non possono fare salti di 180° senza che si facciano violenza, senza che rinneghino se stesse!".
Volevo capire poi, se questi pensieri fossero solo miei o appartenessero anche a chi aveva partecipato direttamente a quel periodo storico (insisto sul termine "storico" perché quella è stata storia con la S maiuscola per l'Italia e per Bergamo); volevo anche comunicare a più persone possibili tutta quell'esperienza, sia a chi c'era ma non ha partecipato, ma soprattutto a chi non c'era perché troppo giovane o non ancora nato.
Avere memoria storica vuol dire avere coscienza di sé, più forza nelle proprie rivendicazioni, nei propri ideali, vuol dire essere meno soli: per i ragazzi della mia generazione significava pensare che le lotte che si facevano prendevano esempio da quelle degli operai del '21, dalla Resistenza partigiana "tradita", dalle lotte degli operai nelle fabbriche e dei proletari romani e torinesi nelle piazze degli anni 60, quando si lottava per un mondo più giusto, per l'utopia. C'era la consapevolezza che la nostra utopia fosse patrimonio delle coscienze di milioni di uomini in tutto il mondo, c'era un trait d'union tra noi e l'umanità: non lottavamo per ottenere qualcosa per noi, ma per crescere con tutto il resto del mondo.
Dal punto di vista metodologico è necessario fare qualche precisazione. Il primo punto da chiarire è la definizione stessa del libro, che non vuole essere un saggio interpretativo di quegli anni, ma uno strumento utile che fornisca le basi, per poi interpretare e giudicare quegli anni e quei movimenti. Ho cercato di utilizzare un'esposizione che fosse il più possibile senza commenti (idealmente non doveva averne assolutamente), ma mentre scrivo mi rendo conto che non è possibile essere acritici, non esprimere le proprie opinioni. L'intento è quello di offrire qualcosa di tangibile e di serio da cui partire per discutere un po' degli anni 70, per non parlarne più per sentito dire o per fantasie, anche di chi vi aveva partecipato, ma possedere dati difficilmente discutibili.
Qualcuno potrebbe sostenere che qualcosa di simile già c'era: gli atti del cosiddetto "processone" di Bergamo. Tuttavia quella contenuta negli atti giudiziari, a mio parere, non è la storia del movimento antagonista bergamasco, ma la ricostruzione operata da un organo dello Stato, lontana e contraria a ciò che il movimento voleva rappresentare. Perciò dire che quella è una ricostruzione di parte, di quell' "altra parte", non è molto lontano dal vero. Inoltre, non mi interessava una ricostruzione di responsabilità personali, ma volevo capire e far capire cosa si pensava e come si agiva in quella situazione di grande dinamismo e potenziale rivoluzione.
D'altra parte l'argomento è ancora spinoso, anche per l'intervento operato a suo tempo dalla Magistratura: da qui tutta una serie di difficoltà di reperimento materiali e documentazione, che comunque sono riuscito a raccogliere.
Salta immediatamente agli occhi la lunghezza del libro, cosa che rischia di allontanare il lettore ancora prima di iniziarne la lettura. La mole è data soprattutto dall'enorme ricchezza dell'argomento, del numero di soggetti e gruppi di persone, luoghi geografici e situazioni di lotta interessate, dalla straordinaria varietà dei temi affrontati e la quantità di fatti successi: tutta la società era pervasa dall'attività di quel movimento, ci doveva fare i conti.
Qualcuno mi ha fatto notare che inserire i nomi delle persone avrebbe potuto indispettire i soggetti citati, ma omettere i nomi (magari sostituendoli con le iniziali) avrebbe impedito al libro di ottenere uno dei suoi obiettivi e cioè dimostrare la ricchezza e la quantità dei soggetti protagonisti di questa Storia. Chiedo perciò un po' di comprensione al proposito, il libro non contiene volutamente giudizi personali su individui o fatti specifici, non c'è volontà di sensazionalismo o di celebrazione di nessuno, proprio perché questa Storia è una storia collettiva.
Il metodo espositivo utilizzato forza l'immaginazione del lettore a calarsi nella realtà di allora: ho cercato, quindi, di dare una lettura a metà tra il giornalistico e il documentaristico, di lasciare il più dei commenti alla stampa locale e nazionale, di evitare il mio intervento personale, ma di lasciare parlare, il più direttamente possibile, i documenti del movimento e dei suoi avversari (ovviamente la scelta dei documenti è opera dell'autore, così come il compito di contestualizzarli).
Le difficoltà incontrate attorno a questa ricerca sono state varie, quella maggiore è stata chiaramente il reperimento delle fonti. Intanto le fonti utilizzate non sono solo libri o riviste in possesso di qualsiasi biblioteca comunale, ma soprattutto manifesti, volantini, articoli tratti da riviste di movimento, perciò difficilmente reperibili, visto che, a parte l'Istituto bergamasco di storia della resistenza e dell'età contemporanea, nessun istituto ne possiede delle copie a Bergamo; per questo ho cercato di attivare i compagni di allora, ma nessuno è stato in grado di (o ha voluto) fornire del materiale, se non Franco Macario, detto Cocò, Enrico Riboni, Luigi Reduzzi e Giulio Bonomi; sono riuscito ad avvalermi della consultazione e riproduzione del materiale documentale del Circolo culturale di ricerca e studio sull'autogestione Freccia nera di Bergamo, di quello che ho trovato alla Biblioteca della Fondazione Feltrinelli di Milano, al Museo storico della città di Bergamo e alla Biblioteca civica Angelo Mai in Città alta a Bergamo, dell'archivio Onnis-Reduzzi-Uberti e, naturalmente, dell'Isrec di Bergamo, tutti luoghi dove ho trovato persone disponibili e capaci. Il jolly è venuto dalla possibilità di consultare gli atti processuali dell'inchiesta bergamasca sui fatti di terrorismo che ha interessato 150 persone nei primissimi anni Ottanta. In quell'enorme archivio che è il Tribunale di Bergamo ho potuto trovare cose che pensavo oramai irrecuperabili: credo davvero che gli archivi dei tribunali possano fare la fortuna degli storici che si interessano di argomenti difficilmente documentabili come la mia ricerca.
Un problema nell'utilizzazione di queste fonti è dato dall'attendibilità dei contenuti, nel senso che ci possono essere errori documentabili, ma quello che interessa è far emergere il contesto, non sotttilizzare su questo o quell'avvenimento.
Altro problema legato al reperimento delle fonti è la possibile mancata documentazione di alcuni fatti specifici, anche se sono assolutamente convinto che non vi siano omissioni importanti. In caso contrario non mi sento responsabile: ho utilizzato tutto il materiale che ho pazientemente e "avidamente" cercato e trovato, molto di quello prodotto allora è perso per sempre, altro viene tenuto "religiosamente" nascosto dalle persone che lo posseggono.
Il libro è diviso in due parti: nella prima, protagonista è la storia dei movimenti antagonisti della provincia di Bergamo, la seconda invece ne analizza l'aspetto repressivo a partire dal 1980.
Ho ritenuto necessario esporre i motivi di questa scelta e fare una considerazione che permetta al lettore di orientarsi. Il libro poteva terminare con l'inizio della fase repressiva più pesante che ha origine dall'assassinio del carabiniere Gurrieri (marzo 1979), ma ho voluto inserire la seconda parte perché, a mio parere, rappresenta la fine simbolica di quel movimento nato nel '67-'68.
Dalla lettura appare subito chiaro come, sul finire degli anni Settanta, non vi siano più lotte di massa, ne azioni di movimento: ciò è vero in parte, nel senso che in quegli anni cambia il modo di condurre le lotte e, precisamente, queste non sono più offensive, politiche in senso stretto, ma difensive nei confronti del potere. Nelle scuole bergamasche, dopo la lotta sulle mense, la repressione ed il "6 politico", il movimento ristagna e si ripropone con lotte molto diverse rispetto al passato (internazionalismo pacifista, "no all'energia nucleare", riforma scolastica); nelle fabbriche si lotta per non essere licenziati, non per il potere operaio o per maggiori servizi sociali ecc. Si può affermare che l'aspetto antagonista che negli anni Settanta è chiaro e diretto, sembra ora scomparire insieme all'incisività del movimento e delle sue avanguardie.
A partire dalla fine del 1976, il testo sembra diventare più tambureggiante, meno scorrevole rispetto alla parte precedente e ciò è dovuto ad una serie di problemi, di ieri e di oggi. Quelli di ieri sono di ordine strettamente politico, poiché la fine dei "gruppi" e l'emergere del "nuovo soggetto" portano ad una minore competitività teorica tra le varie organizzazioni: sul campo restano solo l'Autonomia operaia e l'Mls (in totale contrasto tra di loro), mentre i militanti delle altre sigle sono rifluiti nel "privato" o hanno operato una scelta più istituzionale, come Democrazia proletaria. Le stesse dinamiche del movimento sono meno orientate alla ricerca teorica, realtà di lotta che sembravano consolidate vanno in crisi, emergono nuovi protagonisti. Tutto ciò ha portato ad una produzione di materiale cartaceo differente: spariscono le inchieste ed i lunghi documenti teorici, pochissime le riviste locali, diminuisce l'interesse da parte delle testate nazionali di riferimento del movimento ("Il Manifesto", "Lotta continua", "Quotidiano dei lavoratori"). Tutto questo ha comportato un'operazione di assemblaggio della documentazione molto impegnativa, anche perché è stato più difficile reperire fonti relative a questo periodo rispetto a quello precedente.
Come ho detto, la seconda parte del libro tratta soprattutto l'aspetto repressivo dei movimenti nel bergamasco a partire dal 1980 fino al processo d'appello per reati eversivi celebrato a Brescia nel 1985. Non tratta cioè l'argomento del libro (proprio per questo il libro è diviso in due parti), ma ne è conseguenza diretta e perciò è parte del libro. Il grande spazio che vi ho dedicato non sta assolutamente a significare maggiore importanza, ma la necessità di completezza per una parte di storia che rischia di rimanere ancora più dimenticata e oscura della precedente.
Avevo iniziato la raccolta di materiale fotografico da inserire nel libro, ma la qualità di quello recuperato ed i buchi enormi per temi, luoghi e periodi, mi hanno fatto decidere per la sua completa esclusione. Ringrazio comunque tutti coloro che hanno fornito le loro testimonianze fotografiche, alcune delle quali utilizzate per la copertina.
Mi rendo conto che la lettura può risultare un po' monotona, ripetitiva: citare la cronaca degli scontri di piazza, elencare le fabbriche occupate o i presidi, riportare le mozioni delle assemblee studentesche, analizzare i testi dei volantini di rivendicazione dei gruppi armati bergamaschi, non è certo spassoso, soprattutto perché il linguaggio odierno è molto diverso da quello che si utilizzava allora, ma anche questo è un intento voluto, un modo tra tanti per comprendere come siamo cambiati, anche se ci si accorge che molti problemi, o parole d'ordine come si diceva allora, sono ancora attualissimi, penso alla ristrutturazione nelle fabbriche, al precariato e al lavoro nero, al pendolarismo, a un metodo scolastico soffocante, ai giovani che non contano niente se non come consumatori di mode, alle morti sul lavoro, alla repressione delle forme antagoniste, alla violenza sulle donne e sui "diversi".


indice del volume
Nota editoriale
Introduzione dell'autore

PRIMA PARTE

Capitolo primo – 1967-1969
L'incontro tra le spinte conciliari e i movimenti marxisti.
La voglia di cambiare il mondo
  • Brevi considerazioni iniziali. Preistoria del movimento
  • La "provincia bianca"
  • 1967-68. Comitato Bergamo per il Vietnam
  • SeleBergamo" e "Block notes". Il Gran premio del cinema
  • Il "dissenso cattolico"
  • 1968-69. Movimento studentesco. Il nuovo ospedale psichiatrico
  • Fascismo. Obiezione di coscienza e pacifismo
  • La strategia della tensione
  • Inchiesta sulla situazione operaia a Treviglio. Il Cub della Dalmine
Capitolo secondo – 1970-1974
Dal movimento al bisogno di organizzazione
  • 1970. Le occupazioni nelle superiori. Gruppo inquilini. Msi.
  • 1970. Prime fuoriuscite dal Pci di Bergamo. "Bergamo contro".
  • Breve analisi. Manifesto, Lotta continua e Avanguardia operaia.
  • 1970-71. Lotta di popolo. Lotta sui trasporti.
  • Acli, Acpol e Mpl
  • La crisi del settore tessile
  • La Philco
  • Gruppi di quartiere. Gli studenti. "Fanfascismo". Gli anarchici
  • Il Msi non deve parlare
  • I gruppi rivoluzionari presenti. Lotte operaie tra elezioni e contratto
  • Morti bianche. Torturatori assolti. Rivolta di S. Agata
  • Il Comitato di collegamento degli studenti trevigliesi
  • 1973. Ancora antifascismo militante. Studenti in lotta
  • Lotta nei quartieri
  • Golpe in Cile. Il movimento degli studenti si divide
  • I Cristiani per il socialismo. Comunione e liberazione
  • No alla tregua contrattuale
  • 1974. Lotte nelle scuole e repressione. Lo "sciopero lungo"
  • Movimento femminista. Movimento degli studenti
  • Referendum per l'abrogazione del divorzio
  • 1974. Le stragi fasciste. L'autonomia operaia
  • La lotta dei pendolari
  • Avanguardia operaia. Occupazione Filati lastex
  • Autoriduzione delle bollette. Cub Same
Capitolo terzo – 1975
Il movimento si divide
  • Il dibattito in Lotta continua a Bergamo
  • 1975. I Collettivi politici autonomi. Anarcocomunisti
  • Le elezioni nelle scuole. 8 marzo. Agitazioni operaie
  • I "fatti di aprile"
  • Occupazione della Philco. Legge Reale
  • Lo sgombero della tenda e l'accordo Philco
  • Un po' di dati. Droga. Decentramento produttivo e riorganizzazione territoriale dell'area bergamasca
  • Il movimento degli studenti é sempre più diviso
  • L'ultimo "autunno caldo" dell'autonomia operaia
  • Movimento dei soldati. Scontro sui decreti delegati
Capitolo quarto – 1976-1977
Nelle fabbriche passa la ristrutturazione. Emergono i nuovi soggetti
  • I "gruppi" entrano definitivamente in crisi
  • Il movimento delle donne organizzate. Disoccupazione. Comitato antifascista Carnovali. Nascono Mls e Pdup per il comunismo
  • La lotta nei Centri di formazione professionale
  • L'occupazione del provveditorato
  • Gli scontri del 25 marzo. Gambizzazione Herker
  • I Comitati contro la repressione
  • Verso il 20 giugno
  • La situazione in fabbrica. Fascisti di periferia. Lotte ospedalieri
  • I circoli del proletariato giovanile e le autoriduzioni al cinema
  • Il millenovecentosettantasette. Nasce Radio papavero
  • L'Mls e gli altri. Attentato al nuovo carcere
  • Tornano i fascisti. Mls e realtà locale
  • Il monumento al partigiano
  • Rottura totale tra Autonomia operaia e i "gruppi"
  • La cellula di Prima linea a Bergamo
  • La prima azione delle Squadre armate operaie
Capitolo cinque – 1978-1979
Repressione e crisi del movimento. La lotta si fa armata
  • Lotta precari del Comune di Bergamo
  • Lotta dei trasporti
  • Mls e Autonomia ai ferri corti. Rapimento Moro
  • Normalizzare le fabbriche
  • Il carcere di via Gleno. Un'estate di processi
  • Nascono i Nuclei armati per il contropotere territoriale
  • Violenza femminista. Il Comitato di sciopero degli Ospedali riuniti
  • L'ultima stagione di lotte studentesche: mensa e sei politico
  • La campagna contro le immobiliari
  • Finalmente soli
  • Omicidio Gurrieri
  • Perquisizioni, arresti e interrogatori
  • Analisi della repressione
  • Il Comitato per il diritto alla libertà sociale e politica

SECONDA PARTE

Capitolo sesto – 1980-1985
La stagione dei processi. Dalle Sao alle Ronde. Un rapporto dei carabinieri
  • Il processo Gurrieri
  • La "nuova cittadella dell'eversione". Il fenomeno del pentitismo
  • La normalizzazione di piazza Vecchia. L'arresto di Viscardi
  • Posizione del quadro politico e storia sintetica delle Sao
  • L'arresto di Ronchi. Nasce il Coordinamento per la democrazia
  • Il massacro di San Vittore
  • Il processo si avvicina. Tempo di convegni e prese di posizione
  • La manifestazione nazionale di Democrazia proletaria
  • Inizia il "processone". Il punto sulla ristrutturazione nelle fabbriche
  • "Non è il processo dei pentiti". Tortura
  • La lotta all'art. 90
  • La sentenza. Rovesciare il terrorismo
  • La dissociazione collettiva. Il "processone" d'appello

Indice dei nomi
Indice dei luoghi


l'autore
Emilio Mentasti